Donne e maternità: se ti senti stanca, hai ragione
Cerchiamo di capire insieme perché.
All’interno di questo articolo parliamo quasi esclusivamente della posizione delle donne in Italia.
I flussi sociali del Paese sono costantemente tenuti sotto controllo. Esistono numeri, ricerche e statistiche che insieme vanno a comporre un quadro molto chiaro di quello che accade nel nostro Paese.
La nostra attenzione è ovviamente rivolta alla maternità, alla fertilità e a come le politiche sociali vadano ad influenzare (spoiler: non poco) questi due elementi. Ogni anno IPSOS, ISTAT e Save the Children pubblicano a maggio un dossier intitolato “Le Equilibriste“: un report dettagliato sulla maternità in Italia. Lo abbiamo studiato per voi, e con voi vogliamo parlarne.
Prima di tutto le cattive notizie: leggeremo poche buone notizie. Ma non è una questione di bontà, si tratta di leggere i numeri che mostrano come la difficoltà delle donne nell’emergere nel mondo del lavoro, nella cura della famiglia e anche nella possibilità di concepire, siano un unico elemento che, confermato dai numeri, ci mette un po’ in difficoltà.
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Dati demografici
Nel 2022 abbiamo registrato un nuovo record in negativo relativo alle nascite: per la prima volta siamo rimasti sotto le quattrocentomila nascite (392.598 bambini e bambine iscritte all’anagrafe del nostro Paese). Il calo delle nascite nel 2022 è stato dell’1,9%: la popolazione italiana è in costante calo nonostante il contributo migratorio. L’attuale conflitto Russo-Ucraino ha aumentato l’immigrazione facendo sì che il calo della popolazione residente in Italia sia rimasto in termini contenuti di uno 0,3%.
Il calo delle nascite riguarda purtroppo l’argomento “primo figlio”. E no, non è soltanto una questione di fertilità, ma è un tema che tocca l’istruzione, il lavoro e le politiche a supporto delle famiglie. L’Istat stima che tra le donne nate negli anni ’80, che attualmente sono alla fine della loro fase riproduttiva, un quarto siano senza figli, il 51,3% ne abbiamo uno o più di uno, mentre solo 1 su 4 ne ha uno solo. Attenzione, questo è il primo segnale di come l’andamento socio-culturale di un Paese va ad inficiare anche sui tassi di fertilità.
Scopriamo come
L’età di concepimento del primo figlio si sta spostando in avanti sempre di più. L’età al primo parto è ormai vicina ai 32 anni, inoltre l’Italia è caratterizzata da una percentuale di primi parti oltre i 40 anni molto alta. Infatti, le donne che hanno partorito il primo figlio dopo i 40 anni sono l’8,9% (dati relativi al 2019). Perché?
- elevato e crescente costo dei figli: non certo un fattore che motiva le coppie ad avere più figli
- carenza di politiche a supporto delle famiglie
- divisione dei ruoli familiari (ci sono pochi dati in merito, ma buoni studi di tendenza
In merito al secondo figlio possiamo purtroppo parlare di una sensazione di abbandono delle madri in merito a:
- depressione post partum
- violenza ostetrica
- primi mesi di genitorialità
IPSOS ha svolto un sondaggio in merito mostra una solitudine estrema delle donne in queste fasi. Il dato che porterà poi all’argomento lavoro è in linea ad una tendenza che si registra invece in tutta Europa: la relazione tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità è invece diretto: dove le donne lavorano di più, ci sono più nascite. In sintesi i dati mostrano che per avere una famiglia è necessario che entrambi i genitori abbiano un lavoro stabile.
E il mercato del lavoro cosa ci dice?
Ecco, non ci sono buone notizie.
Il nostro Paese si conferma fanalino di coda in Europa per partecipazione delle donne al mondo del lavoro (Atene batte Roma a mani basse). Le disuguaglianze occupazionali tra uomini e donne viene definita, per le donne, “debolezza rafforzata” e presenta due fattori di criticità:
- la forma contrattuale precaria
- il tempo parziale
Nella prima metà del 2022 solo il 41,5% dei contratti sono stati attivati per le donne, e di questi solo il 35% sono a tempo indeterminato. Per le donne circa la metà delle nuove attivazioni contrattuali sono part-time (49%), mentre per gli uomini solo il 26,2%. La posizione delle donne nel mercato del lavoro dal 2008 ad oggi è sempre peggiorata. Giusto per ripassare: il 2008 è l’anno in cui ha avuto inizio la grande recessione dalla quale ancora non ci siamo ripresi. Gli anni pandemici hanno aggravato una situazione occupazionale che vede le donne in una posizione di perenne svantaggio. Nel 2017, l’EIGE (Istituto europeo per l’eguaglianza di genere) ha dichiarato che la segregazione di genere avviene già a livello scolastico che “restringe le scelte educative e lavorative di donne e uomini mantenendo e rafforzando gli stereotipi, limitando l’accesso delle donne a una serie di lavori (di livello apicale) e alimentando la sottovalutazione del lavoro delle donne e delle capacità e competenze associate.” Questa situazione ha un nome specifico, si chiama: segregazione orizzontale.
A frenare le ragazze ad una scelta legata agli STEM (Science; Technology; Engineering; Mathematics) è la percezione che gli studi scientifici siano complessi, ossia “più adatti agli uomini”. Di fatto, le donne nel nostro Paese occupano con una maggioranza il settore della pubblica amministrazione: ad inizio 2022 i contratti in questo settore sono femminili per il 78,2% .
Perchè parliamo allora di professione “femminizzate”? Perché è bene (questo lo stabiliscono delle regole non dettate dalla logica ma da una malsana tradizione) per la cura della famiglia che una donna lavori con orari flessibili, possibilmente part-time e ancor meglio vicino a casa. Direte: anche poerché se non ci penso io, chi ci pensa?
I dati confermano: ci pensano le donne
Anche su questo ci sono dati che confermano che la percezione che le donne hanno di essere “quasi” le uniche ad occuparsi della cura della famiglia.
Sempre secondo ILO, un’inchiesta del 2018 Care work and care jobs. For the future of docent work, le donne dedicano 5 ore e 5 minuti al giorno di lavoro non retributivo di assistenza e cura, mentre gli uomini 1 ora e 48 minuti. Un altro modo per vedere questo dato è che il 74% del totale del lavoro non pagato di cura è a carico quasi esclusivo delle donne. E quando la donna ha un reddito uguale all’uomo? Comunque si occupa di più della cura per 2,8 ore in più, e quando ci sono dei figli questo divario arriva fino a 4,2 ore.
Il punto quindi è molto semplice, essere una donna è già in sé un percorso che presenta molti ostacoli. L’educazione che riceviamo è stata per molti e troppi anni centrata su una differenza di possibilità, una divisione di ruoli determinata da luoghi comuni e un briciolo di patriarcato. Le conseguenze di tutto questo sono oggi nell’espressività dei numeri che abbiamo letto. Purtroppo una parte di questo sistema malato che non vede le donne in posizioni apicali, con posizioni lavorative forti e senza politiche sociali a sostegno della maternità, fa sì che l’età del concepimento del primo figlio si sposti sempre più in avanti negli anni.
Certo non è solo questo, ma non possiamo non cominciare a capire che è ANCHE questo.